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RIMEDIO E RIMBORSO PER INGIUSTA DETENZIONE
Il colpevole possiede il proprio diritto soggettivo ad ottenere un giusto rimedio in merito ad una applicazione ingiusta della custodia cautelativa (artt. 314 e 315 c.p.p.).
Il suddetto diritto è stato stabilito dal codice penale del 1988 in ottemperanza a quanto previsto dalla Convenzione dei diritti umani (cfr. art 5, comma 5, C.E.D.U.).
Il colpevole inoltra la richiesta di rimedio dopo che l’assoluzione è divenuta definitiva, e su ciò la decisione spetta alla Corte di Appello con una procedimento che avviene in camera consiliare.
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Siffatta richiesta viene attuata per rimediare ad un procedimento ingiusto di custodia cautelativa, e può trattarsi di ingiustizia concreta o ufficiale.
Quella concreta è prevista dall'art. 314, comma 1, c.p.p. e si ha quando si proscioglie in maniera definitiva il processo per la non sussistenza del reato, e perché l’azione commessa non è ritenuta reato dalla legge.
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Altresì, in base al comma 3 dell'art. 314 c.p.p., al giudizio di assoluzione sono accostati il giudizio di non luogo a procedere e il procedimento che prevede l’archiviazione del caso.
Quella ufficiale viene disciplinata dal comma 2 dell'art. 314 c.p.p. e si ha quando la custodia cautelativa è illegittima, ossia quando mancano le condizioni per procedere in base agli artt. 273 e 280 c.p.p., a prescindere dal verdetto di assoluzione o da quello di condanna.
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La legge 16 dicembre 1999, n. 479, chiamata "Legge Carotti", il cui articolo 15 ha determinato delle modifiche all’art.315 del codice penale, ha introdotto altri elementi importanti.
In genere, il limite massimo di risarcimento viene accresciuto per aver subito una detenzione illegittima, e va da 100 milioni di lire ad 1 miliardo (oggi € 516.456,90), ed è stato anche aumentato il termine ultimo per inoltrare la richiesta di rimedio: da 18 a 24 mesi.
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